Una cittadina francese, Tulle, agli inizi del secolo scorso. Una provincia un po’ appartata, un posto come tanti con la quiete dei vicoli e l’animazione delle piazze, il mercato e la cattedrale e la Corrèze, il fiume placido costeggiato di alberi ombrosi. Tulle abitata da distinti borghesi e da antiche famiglie di artigiani e commercianti. Tulle, una provincia tipica in cui le velleità urbane convivono con le radici contadine. Un luogo tranquillo insomma. Che cosa potrà mai accadere di straordinario nella placida anonima Tulle?
È il 1917 quando la prima di una lunga serie di lettere anonime firmate “l’Occhio di Tigre” comincia a incrinarne la calma apparente, prima in maniera sotterranea, poi sempre più eclatante, sollevando il coperchio su un groviglio di vizi veri o presunti che sembrano concentrarsi all’interno della più severa istituzione cittadina, la Prefettura, e che disseminano odio e oscenità fino a causare la morte di due innocenti.
La vicenda che tenne la Francia con il fiato sospeso, scuotendo l’opinione pubblica e chiamando in causa le voci dei più autorevoli di medici e scienziati dell’epoca, terminò con un processo fra i più celebri del secolo.
Chi era dunque l’uccello del malaugurio, l’oscuro firmatario delle migliaia di lettere vergate a mano che per cinque lunghi anni tenne in scacco un’intera comunità?
Una vicenda realmente accaduta, un celebre caso giudiziario che durante l’occupazione tedesca della Francia ispirò a Jean Cocteau la pièce teatrale La macchina per scrivere (1941) e a Henri-Georges Clouzot il film Il Corvo (1943), ricostruita dall’autrice su documenti dell’epoca con l’accuratezza del migliori storici e l’abilità di una scrittrice di noir.