La stanza di Rodinsky

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La stanza di Rodinsky

432 pagine

Prima edizione ottobre 2011

ISBN: 9788865940853

Che fine ha fatto Rodinsky? È scomparso? È morto? È esistito realmente? Iain Sinclair, uno dei più eclettici letterati britannici, cerca di ricostruire, insieme con la storica dell’arte Rachel Lichtenstein, l’enigmatica figura di David Rodinsky e la storia della stanza che questo misterioso personaggio abitò fino al 1969 nell’East End londinese. Un esercizio spregiudicato di letteratura e indagine poliziesca.

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Che fine ha fatto Rodinsky? È scomparso? È morto? È esistito realmente? Iain Sinclair, uno dei più eclettici letterati britannici, cerca di ricostruire, insieme con la storica dell’arte Rachel Lichtenstein, l’enigmatica figura di David Rodinsky e la storia della stanza che questo misterioso personaggio abitò fino al 1969 nell’East End londinese. Un esercizio spregiudicato di letteratura e indagine poliziesca.

La stanza di Rodinsky è l’occasione per un percorso accidentato. È un non libro costruito su diversi fattori. Per prima cosa: due autori diversissimi. Iain Sinclair è il mentore della follia londinese, il Dickens della fine del ventesimo secolo, la figura letteraria che assomma in sé il dottor Jekyll e il signor Hyde. Dotato di una conoscenza spaventosa della metropoli e degli intrecci di artisti, letterati, folli che la attraversano, sembra godere nel confondere il lettore, nell’affastellare nozioni e concetti, tracce e sospetti. Nel leggerlo, occorre abituarsi all’imprevisto, alla digressione, alla contraddizione.
Per contro, Rachel Lichtenstein non apparteneva – prima di questo libro – alla schiera dei letterati. Era stata artista. Installazioni, per intenderci. Non stupisce che quando entrò nella stanza di Rodinsky rimase folgorata. Da allora ha cercato un riavvicinamento alla sua cultura ebraica – nel libro lo racconta – e s’è dedicata più ai libri che all’arte, studiando le vicende dei mercati londinesi, folgorata in questa storia del bric-à-brac dalla sua indagine su David Rodinsky. Lei racconta la vicenda, Sinclair la rende complessa. Lei scava, lui sembra gingillarsi col suo sapere. Lei ha determinazione, lui sembra sospeso nel vago. Ma il gioco di rimandi funziona, e la vicenda procede tra grandi balzi e apparentemente inspiegabili pozze acquitrinose dove qui e là appaiono riflesse immagini della grande città.
Comunque si fa presto a raccontare la storia. C’è Londra. All’interno di Londra c’è il quartiere di Spitalfields che ha ospitato l’immigrazione ebraica della prima metà del secolo scorso e quella più recente del Bangladesh e che sa di stufati e di profumi di curry. All’interno di Spitalfields c’è Princelet Street. Al 19 di Princelet Street c’è la vecchia sinagoga in disuso. Sopra la vecchia sinagoga in disuso c’è la stanza di Rodinsky. All’interno della stanza di Rodinsky c’è Londra.
Cosa sia Londra è poi difficile da determinare, anche a non voler essere pindarici come Sinclair. Che cosa sia stata la Londra di Rodinsky è quanto la Lichtenstein prova a ricostruire. Ma è il mondo che vi immaginate: emigrati ebrei dall’Est. Vecchie e prepotenti mamies affacciate alle finestre del vicolo, famiglie solidali e ogni tanto qualche tipo stravagante. Uno, per esempio, che ha fatto il custode della sinagoga e che un giorno sparisce, lasciando la sua camera. Camera che non interessa a nessuno per anni, fin quando non viene riaperta e racconta una storia. E qualcuno cerca di mettere ordine nei tasselli del puzzle.