Percival Everett
Ferito
Percival Everett
Ferito
240 pagine
Prima edizione febbraio 2009
Seconda edizione febbraio 2010
Prima edizione tascabile novembre 2012
Traduzione dall'inglese di Marco Rossari
ISBN: 9788888389998
Vincitore IV Premio Vallombrosa – Gregor von Rezzori 2010
Vincitore Usa Pen Literary Award 2006
Highland, Wyoming. Il brutale assassinio di un giovane gay sconvolge le giornate tutte uguali di un villaggio del profondo West e cambia la vita di un impenetrabile cowboy di mezz’età. L’altra faccia di Everett in un memorabile confronto con la frontiera.
€8,55 – €15,20
Qualcosa sta per accadere – la consapevolezza di questa tensione è l’ossatura del libro – perché nulla accade mai a Highland, Wyoming, profondo e gelido West, dove un impenetrabile cowboy di mezz’età, uno tra John Wayne e Gary Cooper, vedovo, laureato in Storia dell’arte con una passione per Klee, Kandinskij e le caverne, naturalmente nero – ce lo annuncia lui stesso nelle prime pagine –, vive la sua appartata quotidianità fatta di giornate che iniziano alle cinque e trenta, un centinaio di chili di merda di cavallo da spalare, cavalli difficili da addestrare, un cucciolo di coyote con tre zampe da curare.
Perché la comunità locale, compresi gli amici del protagonista, apostrofa con pesanti epiteti il ragazzo gay scomparso? È l’intolleranza bruta che permea il doppio fondo dell’etica individuale, una reazione che ricorda da vicino i cartelli (“Dio odia i froci”, “Cambiate o bruciate”) imbracciati da migliaia di persone comuni nelle contromanifestazioni “per ristabilire i principi etici” dopo il tragico omicidio del giovane Matthew Shepard nel 1998, sempre da quelle parti, dichiarato punto di partenza della riflessione di Everett.
Come ogni libro che rimane, Ferito può essere descritto dall’accumulazione di due frasi: “Hai provato qualcosa quando ci siamo baciati?”, che Hunt si sente dire dopo giorni di silenzi, e “non riconosco le mie impronte finché non mi fermo”, dello stesso Hunt, ferito ma apparentemente solo scheggiato dagli eventi, a ribadire che l’esistenza si spende sempre in frontiera, e la frontiera è ovunque.
Everett, stavolta con uno stile disadorno e lontano da qualsiasi genere (“non ho mai scritto western, ho scritto alcuni romanzi ambientati nel West”), dimostra che la narrativa è un mezzo, e che qui la suspance non è tanto data da ciò che il lettore non si aspetta che accada, ma dal fatto che accada ciò che il lettore sa perfettamente debba accadere. È un problema di come e quando, specie se si parla dei crimini dell’odio.
Su tutto, tra le righe di questo romanzo, ci sono Emily, il cucciolo di coyote a tre zampe, che punteggia la neve attorno al ranch con le sue orme strane, e Peste, un mulo ingovernabile in grado di aprire i cancelli della stalla e che non sta mai fermo, come il pensiero libero di una mente liberata, finalmente, dalla disillusione della successiva ferita da curare. Perché prima o poi il tempo per le parole sarà finito.